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come superare la paura della morte

È la morte a spaventarci, ma l’angoscia suprema è l’incertezza della rinascita, cosa ci attende nella prossima vita?

 

Paura della morte nello Yoga: cosa significa davvero?
La morte ci spaventa, ma secondo la tradizione yogica la vera angoscia non è la fine in sé, bensì l’incertezza della rinascita: cosa ci attende nella prossima vita?
Negli Yoga Sūtra (II.9), Patañjali descrive questa paura profonda con il termine Abhinivesha, una delle cinque afflizioni mentali (kleśa)👉Approfondisci

È l’istinto universale di aggrapparsi all’esistenza materiale e temere la perdita dell’“io” così come lo conosciamo.
Questa paura è universale: “anche il saggio ne è pervaso”, dice Patañjali. Nessuno sfugge a questo istinto radicato che ci lega all’esistenza materiale.

📌 In questo articolo scoprirai:

  • Come l’illusione dell’identità (Asmita) alimenta l’angoscia del distacco.
  • La prospettiva del Karma e della rinascita (Punarbhava) nelle tradizioni indiane.
  • Gli strument
  • i che lo Yoga mette a disposizione – meditazione, āsana, prāṇāyāma, studio dei testi – per superare il timore della morte.
  • L’obiettivo ultimo dello Yoga: la liberazione dal Saṃsāra e la scoperta della nostra vera natura.

 

Io sono… ma chi? L’illusione dell’identità (Asmita)

Fin da piccoli, veniamo educati a identificarci con il corpo, con i ruoli sociali, con ciò che possediamo. In sanscrito questa confusione è chiamata Asmita: l’ego che dice “io sono questo” o “io sono quello”.
Eppure, la verità delle filosofie orientali – dal Vedānta al Buddhismo – è che l’essenza (puruṣa, l’anima cosciente) è eterna e distinta dalla materia (prakṛti). Noi non siamo le nostre etichette, ma pura coscienza.
Il problema? Più ci identifichiamo con ciò che può perire (corpo, beni, ruoli), più la morte diventa un nemico da temere.

 

Morte come trasformazione: la legge del Karma 

Cosa dice la Bhagavad Gītā sulla morte

Nelle tradizioni indiane, la morte non è una fine, ma un passaggio. Il corpo perisce, ma la coscienza trasmigra.
Le Upaniṣad e la Bhagavad Gītā (II.22) usano una potente metafora:

Come una persona indossa abiti nuovi e lascia quelli usati, così l’anima si riveste di nuovi corpi materiali, abbandonando quelli vecchi e inutili”

La vera legge che guida questo ciclo è il Karma: ogni azione lascia un’impronta che condiziona le nascite future. Non è “fatalismo”, ma legge di causa-effetto, l’azione di oggi fiorirà in questa vita o nelle prossime. Non sempre gli effetti si manifestano subito: alcune conseguenze possono emergere dopo più incarnazioni, come semi che maturano lentamente.

 

La paura della “rinascita” (Punarbhava) più che della morte

La prospettiva del Saṃsāra: rischi e possibilità

Ecco il paradosso: se la morte è un passaggio inevitabile, la vera paura dovrebbe essere la rinascita. Ciò che conta davvero è come rinasceremo.
Quale corpo indosseremo? Quale vita ci attende? Sarà un passo avanti nell’evoluzione della coscienza o un passo indietro? Nel Saṃsāra (il ciclo delle rinascite), non c’è garanzia di progresso automatico: si può rinascere in condizioni peggiori, persino in forme non umane.

Il timore autentico, quindi, non è “finire” ma ripetere senza consapevolezza, rischiando di restare imprigionati nella ruota del divenire.

 

La via dello Yoga per superare la paura e il ciclo delle rinascite

Strumenti dello Yoga per vincere Abhinivesha

Lo Yoga offre una strada per sciogliere questo nodo esistenziale.

Attraverso il discernimento (viveka), sviluppando il distacco (vairāgya) da ruoli e possesso e con l’esperienza diretta del Sé praticando la meditazione, si affievolisce la paura della morte.

Krishna spiega che agendo senza attaccamento ai risultati e offrendo ogni azione al Divino, si raggiunge la libertà:
Si deve dunque agire per dovere, senza attaccamento ai frutti dell’azione, perché agendo senza attaccamento si raggiunge il Supremo” (Bhagavad Gītā III.19).
Questa visione completa il nucleo dell’insegnamento karmico.

In particolare il III capitolo della Bhagavad Gītā dal titolo Karma yoga, fornisce spunti cruciali sulla natura dell’azione, su come si possa condurre una vita spiritualmente appagante attraverso il giusto agire.

 

Liberazione finale: Kaivalya secondo Patañjali

L’obiettivo ultimo – tra l’altro – non è sperare in una rinascita “fortunata”, ma trascendere il ciclo stesso di nascita e morte: la liberazione definitiva dal Saṃsāra, affrancandosi dai Klesa e dai Karma e raggiungere lo stato di Kaivalya (la liberazione secondo Patañjali), ovvero il momento in cui lo spirito si riconosce libero da corpo e mente, riscoprendosi nella sua natura eterna e pura – libertà da identificazioni con mente e corpo.

Per questo scopo, lo Yoga insegna l’importanza di coltivare azioni consapevoli per generare un Karma favorevole. Non solo: attraverso la pratica delle āsana (posizioni), il prāṇāyāma (controllo del respiro), la meditazione e lo studio dei testi filosofici, abbiamo a disposizione strumenti concreti per trasformare la nostra vita quotidiana e guidare la coscienza verso una maggiore libertà interiore.

 

Conclusione: dalla paura alla consapevolezza

La morte, da nemico, può diventare maestra. Se vissuta come un invito a risvegliarci alla nostra vera natura, ci spinge a vivere ogni azione con consapevolezza, a coltivare un Karma che ci avvicini alla libertà.

Forse la domanda non è: “Quanto temo la morte?”
Ma piuttosto: “Sto vivendo in modo da non temere la prossima rinascita?”

 

La filosofia diventa reale solo con la pratica!

👉 “Se vuoi approfondire questi insegnamenti e portarli nella tua vita quotidiana, segui un percorso di crescita interiore e serenità attraverso la magia dello Yoga.”

 

 

 

foto: Teoria dei KLEŚA secondo PatanjaliIn breve: cosa sono i Klesa?

I Kleśa sono le cinque radici di sofferenza descritte da Patanjali negli Yoga Sutra.
Sono schemi mentali che ci allontanano dalla pace interiore e generano dolore, paura e attaccamento.

👉 I cinque Klesa:

  • Avidya – ignoranza, non vedere la realtà per ciò che è
  • Asmita – illusione dell’ego, identificazione con il corpo e la mente
  • Raga – attaccamento a ciò che dà piacere
  • Dvesa – repulsione verso ciò che dà dolore
  • Abhinivesia – paura della morte, attaccamento alla vita

✨ Secondo Patanjali, la meditazione e le pratiche dello yoga sono i rimedi più potenti per trasformare queste afflizioni in consapevolezza e ritrovare equilibrio.

 

Il significato del termine Klesa

Il termine sanscrito Kleśa significa letteralmente afflizione, sofferenza.

Il problema della sofferenza e della miseria umana è stato ampiamente trattato da Patanjali e sua è la filosofia dei Klesa che trova la sua massima espressione nell’applicazione pratica dei rimedi da Patanjali stesso indicati.

Le filosofie orientali hanno sempre avuto una doppia funzione:

  • osservare le reali problematiche dell’umanità
  • proporre mezzi concreti per affrontarle e superarle.

 

Le cinque afflizioni fondamentali secondo Patanjali

Secondo Patanjali, sono cinque le afflizioni che guidano inconsciamente l’umanità, causando disordine mentale e dolore.

Questi stati mentali, se non riconosciuti, generano disperazione, nervosismo e alterazioni dell’umore creando disarmonia nella mente.

Se osserviamo da vicino la natura del dolore, lasciando da parte quello fisico (legato a malattie o cause oggettive), ci accorgiamo che di fronte al dolore mentale raramente si sceglie di indagare dentro di sé per comprenderne le radici.
La maggior parte delle persone cerca soluzioni esterne o, peggio, tenta di ignorarlo, senza mai rivolgere lo sguardo alla propria mente.

Quando al dolore interiore si accompagna la consapevolezza di non riuscire ad eliminarlo, nasce un senso di impotenza che facilmente degenera in disperazione. Questa, a sua volta, alimenta tensione e nervosismo, disturbando il naturale fluire del respiro.
Un respiro alterato perde la sua armonia e genera squilibrio nei canali energetici attraverso cui scorre il Prana, la forza vitale.

La conseguenza è una mente agitata e disorientata, incapace di mantenere lucidità, concentrazione e chiarezza. Lo squilibrio non resta confinato al piano mentale, ma si riflette sull’intero essere, influenzando emozioni, corpo ed energia vitale.

 

Le cinque forme originarie di Klesa

AVIDYA: ignoranza metafisica

Avidya è la radice di tutti i Klesa.
Significa ignorare la Realtà nella sua vera essenza:

  • scambiare ciò che è impermanente per eterno
  • ritenere puro ciò che è impuro
  • credere buono ciò che è male

Non basta la conoscenza intellettuale: anche il più dotto dei sapienti, senza un percorso spirituale, rimane vittima di Avidya.
La verità ultima non può essere trasmessa a parole: può solo essere sperimentata.

ASMITA: l’illusione dell’ego

Il termine Asmi significa letteralmente “Io sono”.
Nella sua essenza più pura, questo “Io sono” rappresenta la coscienza originaria, indipendente dal corpo fisico che la ospita. È la consapevolezza eterna e immutabile che dimora in ogni essere vivente.

Il problema nasce quando questo “Io sono” si identifica con il veicolo materiale attraverso cui si manifesta, trasformandosi in:
👉 “Io sono questo”.

In questo passaggio sottile ma cruciale avviene l’illusione (Asmita): l’essere si confonde con ciò che è transitorio, dimenticando la sua natura infinita.

Un esempio concreto

Pensiamo al corpo fisico, il veicolo più evidente e grossolano.
Attraverso gli occhi esercitiamo la vista e affermiamo: “Io vedo”.
In realtà, non è l’“Io” eterno a vedere, ma semplicemente la coscienza che prende atto delle immagini riflesse davanti agli occhi.
Identificandoci con la vista, ci convinciamo di essere “chi vede”, anziché riconoscere che siamo la consapevolezza stessa che osserva.

Coscienza e materia: due nature distinte

Per comprendere davvero Asmita occorre fare un passo indietro, fino al processo creativo originario.
Affinché la creazione potesse avvenire, coscienza e materia si sono dovute unire. In questo incontro, la coscienza ha velato la memoria della propria natura eterna per poter fare esperienza attraverso la forma materiale. Ma, identificandosi con il corpo e con la mente, ha smarrito la consapevolezza delle sue origini divine come Jivatma (anima individuale), parte inseparabile della Paramatma (coscienza cosmica).

La radice dell’illusione

In ogni forma vivente è presente la pura coscienza dell’“Io sono”.
Eppure, quasi sempre, questa verità viene offuscata dall’identificazione con i veicoli della materia:

  • con il corpo → “Io sono questo corpo”
  • con la mente → “Io sono i miei pensieri”
  • con le emozioni → “Io sono ciò che sento”

Asmita, dunque, è la perdita di vista della nostra natura divina ed eterna: ci scambiamo per il contenitore, dimenticando di essere la coscienza che lo attraversa.

 

RAGA: passione, attrazione e attaccamento

Raga è il terzo Kleśa e rappresenta la forza di attrazione che spinge l’essere umano verso oggetti, esperienze o persone che sembrano procurare piacere e felicità.
Si manifesta come desiderio di possesso, come ricerca incessante di soddisfazione attraverso ciò che è esterno a noi.

Questo meccanismo porta con sé un grande inganno: la convinzione che la felicità dipenda da fattori esterni, da ciò che otteniamo o che tratteniamo. In realtà, la gioia autentica non nasce da qualcosa di fuori, ma sgorga dall’interno, dal contatto con la nostra coscienza profonda.

Quando questo legame interiore si perde, la coscienza smarrita cerca altrove ciò che non trova più dentro di sé. Ne deriva una corsa continua verso il piacere, che inevitabilmente conduce a delusione e frustrazione, perché nessun oggetto dei sensi può offrire una felicità duratura. Così Raga diventa fonte di dolore.

Il rimedio: Vairagya e Viveka

La tradizione dello yoga insegna che il superamento di Raga passa attraverso il Vairagya (distacco).
Questo non significa rinunciare al mondo o reprimere i desideri, ma sviluppare la capacità di godere delle esperienze senza esserne schiavi.

La chiave è la padronanza dei sensi, guidata da Viveka, la facoltà di discriminazione.
Grazie a Viveka impariamo a distinguere ciò che è permanente da ciò che è effimero, ciò che nutre veramente la coscienza da ciò che offre solo una gratificazione passeggera.

In questo equilibrio si trova la vera libertà: vivere le esperienze senza esserne vincolati, riconoscendo che la sorgente della felicità non è all’esterno, ma nel cuore stesso della nostra natura interiore.

DVESA: repulsione

Dvesa è l’opposto di Raga.
Se Raga ci spinge verso ciò che ci piace, Dvesa ci allontana da ciò che ci disgusta o ci fa soffrire.
Attrazione e repulsione condizionano la vita dell’uomo a livello fisico, emotivo e mentale, mantenendo la coscienza su piani inferiori.

ABHINIVESIA: paura della morte

Abhinivesia è l’attaccamento ostinato alla vita, conseguenza diretta di Avidya.
Si manifesta come paura della morte, radicata in tutti gli esseri viventi.

Il superamento di questo Klesa passa attraverso la comprensione che:

  • tutto è impermanente
  • la morte non è fine, ma trasformazione
  • il Sé eterno non muore, ma cambia forma

Come Avidya rappresenta la radice di tutti i Klesa, così Abhinivesia ne costituisce il frutto finale.

Più intensi saranno Raga e Dvesa (le attrazioni e le repulsioni) nella vita di una persona, tanto più forte sarà il suo attaccamento alla vita.

Vedi anche 👉 Yoga e paura della morte

 

Il rimedio ai Klesa

Meditazione come via di trasformazione

DHYĀNA-HEYĀS TAD-VRTTAYAH

Mediante la meditazione le loro forme attive scompaiono
(Yoga Sutra di Patanjali)

Patanjali dedica diversi Sutra ai Klesa, descrivendone le origini e i rimedi.
Il più importante di tutti i rimedi è la meditazione (Dhyāna).

Con una pratica costante:

  • la mente acquista chiarezza e discernimento
  • le afflizioni si attenuano
  • le energie latenti si trasformano in forze di consapevolezza

La meditazione è il fulcro del progresso spirituale, lo strumento con cui i Klesa smettono di condizionare la vita e si dissolvono nella luce della coscienza.

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